di Marco Giudici
Avvocato del Foro di Roma
Consigliere del Municipio XII di Roma, vice presidente del ccnsiglio e vice presidente della commissione trasparenza;
già consigliere del Municipio XII di Roma, presidente della commissione trasparenza (consiliatura 2013-2018);
già consigliere del Municipio XVI di Roma (consiliatura 2008-2013)
Differenza con il diritto di accesso agli atti ex art. 241/1990
I consiglieri comunali e gli eletti delle divisioni amministrative (oltre che nelle provincie e città metropolitane) godono di un particolare diritto di informazione nei confronti dell’ente di appartenenza.
Il loro diritto all’ostensione, da non confondere con quello spettante ai cittadini di accedere ai documenti amministrativi, è disciplinato dalla norma contenuta all’art. 43, comma 2, del D.Lgs. 267/2000, che recita:
“I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.
Come detto, cittadini e consiglieri vantano prerogative di natura differente. Sull’argomento si è espresso a chiare lettere anche il Consiglio di Stato[1], che ha «recisamente ripudiato l’equazione tra il diritto all’informazione del consigliere comunale ed il diritto di accesso disciplinato dalla L. 241/1990», confermando che «il primo – pur talora estrinsecandosi nelle tipiche facoltà della visione e dell’estrazione di copia dei documenti – differisce dal secondo per finalità ed oggetto»[2].
Il diritto di accesso «è un istituto che consente ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti, al fine di poter predisporre la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese», mentre il diritto all’informazione «è un istituto giuridico posto al fine di consentire al consigliere comunale di poter esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali decisionali del Comune».
Difatti, ad esempio, il consigliere può sempre avere tutte le informazioni di cui ha interesse solo perché egli è consigliere. Il cittadino non accede in quanto cittadino, ma anche perché in forza della legge 241/1990 deve anche avere un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. Non sono, tuttavia, mancati pronunciamenti contrari a questa impostazione, sebbene rimasti isolati[3].
Alcuni elementi distintivi, a titolo esemplificativo, possono individuarsi come segue:
– I costi di ricerca e riproduzione di documenti è illegittimo farli sostenere al consigliere, mentre è obbligatorio farli sostenere ai cittadini.
– I tempi dell’accesso dei cittadini sono stabiliti in 30 giorni, decorsi i quali la richiesta si intende respinta. Per i consiglieri è stato anche detto che, fermo restando il predetto termine, l’accesso dovrebbe essere accordato nei tempi più ragionevoli possibili[4].
– L’accesso agli atti dei cittadini consente di tutelare loro aspettative. Mentre per il diritto dedicato ai consiglieri è stato concepito per consentire loro di effettuare un controllo dell’amministrazione.
– I consiglieri comunali non devono rendere conto dell’accesso ai controinteressati della legge 241/1990.
– Rilevanti differenze sussistono anche sotto il profilo del processo amministrativo, perché il ricorso exart. 25, comma 5, della Legge 241/1990 prevede una dimidiazione dei termini del ricorso. Disciplina non estensibile ai consiglieri comunali[5].
Ai consiglieri il diritto è concesso con la finalità di consentire il controllo del funzionamento dell’amministrazione presso cui operano attraverso «un’ampia e qualificata posizione di pretesa all’informazione ratione officii»[6], ossia per ragione dell’ufficio svolto, mentre per i cittadini è riconosciuto al fine di tutelare le posizioni giuridiche soggettive eventualmente lese. Tant’è che ai sensi dell’art. 24, comma 3, della L. 241/1990, sono inammissibili le «istanze di accesso dei cittadini preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni». I consiglieri, viceversa, godono della facoltà di tutelare gli interessi e i diritti della propria comunità di riferimento attraverso un controllo diffuso sull’operato dell’ente, potendo perciò esercitare il relativo diritto come forma di azione popolare. Una maggiore ampiezza del diritto che si fonda sul munus publicumespletato.
La natura del diritto di accesso
L’actio ad exhibendum dei consiglieri comunali è un diritto soggettivo pubblico funzionalizzato (o strumentale[7]) all’esercizio del mandato consiliare, ovverosia implica che il consigliere possa esercitare le proprie facoltà per svolgere in modo pieno ed effettivo le funzioni assegnate direttamente al consiglio comunale di cui è parte[8]. Tant’è che, secondo l’art. 42 del TUEL il consiglio è l’organo di indirizzo e controllo politico ed amministrativo.
Il legislatore ha distribuito pesi e contrappesi all’interno del consiglio pensando alla maggioranza e all’opposizione come portatori di interessi contrapposti, la prima di indirizzo e la seconda di controllo, salvo eccezioni, perché una forza di opposizione non dovrebbe essere ritenuta tale se sostiene gli indirizzi di maggioranza.
Normalmente, se è vero che il diritto di accesso spetta a tutti i membri del consesso, è anche vero che sarà il consigliere di minoranza che nella prassi eserciterà le funzioni di controllo politico ed amministrativo sull’attività di indirizzo della maggioranza e sull’amministrazione governata. Questi, farà uso di un diritto che, unitamente a quello di iniziativa politica di cui al primo comma dell’art. 43, potrà esercitare singolarmente, ossia senza la necessità di un accordo con altri membri. Per questo motivo possiamo considerare il diritto di accesso come espressione del più importante e penetrante potere espressamente riconosciuto dalla legge che spetta al singolo consigliere.
Viceversa, l’attività di indirizzo politico ed amministrativo deve essere compiuta collettivamente, con gli altri esponenti del consiglio, con criterio democratico e maggioritario. Il singolo avrà un concreto potere di indirizzo solo qualora le sue indicazioni politiche aderiscano a quelle di altri membri al momento del voto d’aula.
Il ruolo naturale del consigliere di minoranza, perciò, anche secondo la legge, viene svolto soprattutto, ma non solo, investigando su ciò che accade all’interno dell’amministrazione per garantire la circolazione di un adeguato flusso di informazioni amministrative che consentono di tenere vivo il dibattito politico.
L’azione nel consiglio comunale è menomata se non è sorretta da una compiuta conoscenza delle vicende politiche, amministrative, territoriali, sociali, e quant’altro. L’informazione, perciò, è la linfa vitale della buona azione amministrativa del consigliere. E’ una base ferma, solida, incontestabile, per un’azione politica concreta ed efficace.
In questo contesto, il potere del consigliere è molto penetrante. Al punto che egli non deve essere considerato un estraneo all’amministrazione, bensì un intraneus[9]. Potrà accedere a notizie ed informazioni riguardanti tutte delle attività svolte dall’ente, di tutti gli uffici, le attività e le unità organizzative, mentre non ha lo stesso potere l’impiegato pubblico, che non avrà titolo, né motivo non solo per indagare, ma anche solo per accedere ad informazioni custodite da uffici diversi, qualora il suo accesso non sia fondato su ragioni legate alla sua attività lavorativa.
Chi può accedere
Possono accedere tutti gli eletti per ottenere le informazioni detenute dall’ente locale di appartenenza.
Il diritto di informazione è personale e legato al soggetto che ricopre l’incarico pubblico, al limite anche per delega, con la quale «il consigliere comunale attribuisce a persona di sua fiducia non la titolarità del potere, bensì solo l’esercizio di esso, che essendo connesso ad un munus pubblico non è delegabile, ma soltanto la legittimazione a prendere visione o a ritirare i documenti richiesti dal delegante, ferma restando – ovviamente – la responsabilità di quest’ultimo per l’eventuale uso scorretto dei documenti da parte del delegato ed in modo da assicurare il rispetto della disciplina del segreto d’ufficio cui è tenuto, per legge, lo stesso consigliere comunale»[10].
Non sono mancate pronunce che hanno inibito l’accesso al tecnico di fiducia del consigliere, che verrebbe a conoscenza di informazioni che lo stesso eletto deve tenere segrete[11],
In virtù del principio di leale cooperazione istituzionale tra soggetti pubblici, la disciplina sui consiglieri è estensibile «anche nel caso in cui un assessore abbia chiesto atti non inerenti né ad argomenti oggetto di decisione della giunta né a materie delegate dal Sindaco»[12]anche se il comune di appartenenza non prevede che siffatto diritto possa essere riconosciuto.
Il soggetto passivo
Se l’istanza viene inviata ad un ufficio che non detiene l’informazione o il documento, è obbligo di quest’ultimo trasmettere senza ritardo la richiesta all’ufficio corretto in virtù del principio di leale cooperazione istituzionale tra soggetti pubblici.
Anche il regolamento sull’accesso agli atti dei cittadini impone questa procedura all’amministrazione[13].
Sul soggetto passivo la normativa vigente spiega in modo esauriente che i cittadini possono rivolgere l’istanza nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ivi compresi le aziende autonome, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi. «Anche gli enti di diritto privato soggiacciono all’obbligo, per quanto «limitatamente ai documenti funzionali al perseguimento di pubblici interessi, che, in quanto tali, sfuggono all’ambito di operatività dell’art. 41 Cost., laddove è sancito il principio della libera iniziativa economica, per finire a tratti in quello del successivo art. 97 che afferma il principio di imparzialità della condotta amministrativa»[14]»[15].
Il T.U.E.L. pone come soggetto passivo dell’accesso gli uffici dell’ente locale, le aziende e gli enti dipendenti.
Vediamo cosa si intende per enti dipendenti.
Un autore ritiene che nella definizione entrino «quelle società di capitali interessate da una privatizzazione solo formale dal momento che la totalità o la maggioranza delle quote azionarie è in mano a soggetti pubblici». A tal proposito, occorre distinguere nell’ambito delle società a partecipazione pubblica, tra:
– partecipate soggette alla disciplina codicistica. Riguardo alle quali va detto che gli artt. 2381 c.c. e 2403 bis c.c. prevedono il diritto di informazione degli azionisti solo in sede di Consiglio di amministrazione, essendo questi privi di qualsiasi potere ispettivo e di controllo, il quale spetta, invece, al collegio sindacale. Di conseguenza, il consigliere non godrebbe, in base alle vigenti disposizioni normative, di poteri di accesso superiori a quelli che il legislatore ha attribuito ai consiglieri nominati all’interno dell’organo amministrativo della società;
– società miste, nei confronti delle quali il consigliere non potrebbe spiegare gli effetti del proprio diritto poiché ciò condurrebbe ad una illegittima disparità di trattamento tra la posizione dell’azionista pubblico e quella dell’azionista privato;
– società pubbliche, costituite da leggi speciali, le cui norme derogano quelle di diritto comune. In ragione della disciplina in deroga al diritto comune i consiglieri possono ottenere le informazioni richieste.
– società costituite ai sensi dell’art. 113 del T.U.E.L. (in economia, in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, a mezzo di istituzione, a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, a mezzo di società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria). Queste operano sotto il controllo della p.a., e quindi può essere considerata un ente dipendente dell’amministrazione ai sensi dell’art. 43 in esame.
– società in cui l’amministrazione è l’unico azionista, dinanzi alle quali non vi sarebbe alcuna difficoltà a consentire l’accesso al consigliere dal momento che, in tal caso, non trova applicazione il principio di parità di trattamento tra azionisti[16]
A giudizio della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, «L’attività svolta dalla società a partecipazione prevalentemente pubblica è da configurare come qualificata per un’inerenza a pubblici interessi sia sotto il profilo oggettivo (per la tipologia di servizi resi dalla società), sia per la riferibilità della maggioranza del capitale a soggetti pubblici. La caratterizzazione dell’attività svolta dalla società in senso pubblicistico, fa sì che il richiamo effettuato dall’amministrazione all’articolo 2476 c.c. non sia decisivo al fine di valutare l’accessibilità dei documenti. Pertanto, tutti gli atti, anche se ritenuti di diritto privato, adottati da tali enti per l’esercizio del servizio pubblico e per l’individuazione del contraente sono soggetti alla normativa sull’accesso ai documenti di cui all’art. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990»[17]. E, quindi, si ritiene anche alla normativa sull’accesso dei consiglieri.
Requisiti minimi e forma della domanda
L’istanza di accesso può essere inviata direttamente agli uffici, oppure al soggetto titolare dell’ufficio preposto a garantire l’accesso alle informazioni, se previsto dalle norme del regolamento interno[18].
Ciascun consigliere è libero di inviare l’istanza di accesso in qualsiasi forma[19], scritta o orale, e con una pluralità di mezzi (quali interrogazioni, interpellanze, istanze di sindacato ispettivo e semplici domande) che l’ordinamento gli pone a disposizione senza alcun vincolo di scelta o di graduatoria, «scegliendo quelli ritenuti più consoni al singolo caso»[20].
La domanda deve contenere dei requisiti essenziali e non è necessario che indichi o provi altri elementi o circostanze che, se assenti, renderebbero inammissibile l’istanza di accesso di un cittadino comune nei confronti dell’amministrazione.
Se non sono note all’ufficio, il consigliere deve provare solo la propria identità e qualifica[21]e le notizie e/o informazioni che intende conoscere.
Non è tenuto a dimostrare né l’interesse qualificato ad accedere, né il fatto che l’accesso sia stato effettuato nell’esercizio del mandato. Fermo il divieto implicito di perseguire interessi personali, non è consentito all’amministrazione indagare su siffatto interesse e/o fornire una prova contraria. Con la conseguenza che «il consigliere non è tenuto a motivare la richiesta, né l’Ente ha titolo per sindacare il rapporto tra la richiesta di accesso e l’esercizio del mandato»[22].
Oggetto dell’istanza di accesso
Il consigliere può ambire ad ottenere tutte le notizie ed informazioni detenute dall’amministrazione, a prescindere dal supporto in cui siano contenute. La formulazione così è più ampia di quella riservata ai cittadini perché con gli eletti si entra nel campo dell’informazione immateriale [23].
Altra questione, ben diversa dal diritto di ottenere ogni informazione e notizia riguarda la richiesta della trascrizione integrale delle sedute su supporto cartaceo o digitale, non riconosciuto dalla costituente un’attività ulteriore, complessa e dispendiosa, che esula dalle competenze dell’amministrazione. Il consigliere potrà quindi ottenere una registrazione della seduta, ma dovrà provvedere a proprie spese alla trascrizione integrale delle parti cui è interessato[24].
Si segnala che un tempo si accordava agli eletti la facoltà di registrare le sedute[25]e, in particolar modo, i propri interventi. Oggi, nell’era dello streaming, il tema appare superato.
Il diritto di informazione può anche consistere nella pretesa che gli uffici interpellati eseguano delle elaborazioni dei dati e delle informazioni in loro possesso[26], ma entro i limiti della ragionevolezza.
Ad esempio, la richiesta inoltrata da un eletto all’ente locale di appartenenza, finalizzata alla previa elaborazione ed all’ottenimento dell’elenco delle concessioni edilizie e delle opere appaltate da un comune di poco meno di 15000 abitanti in un arco di tempo di 39 mesi, ha trovato il favore di Palazzo Spada, che l’ha ritenuta non eccessivamente «laboriosa e defatigante», potendo «essere soddisfatta – nei limiti di tempi ragionevoli e più celermentepossibile – ove fosse gravosa secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività comunali»[27].
I giudici con questa pronuncia hanno inteso che non è dato al consigliere pretendere un riscontro immediato o nei tempi da lui richiesti, dovendo l’amministrazione procedere all’elaborazione dei dati nei tempi che la stessa ritiene opportuni, tenuto conto delle risorse e dell’attività amministrativa che è tenuta ad espletare.
Per completezza è opportuno segnalare che la richiesta di recapito settimanale sotto forma di floppy disk del protocollo comunale e del Comando dei Vigili Urbani, è una pretesa priva di fondamento giuridico[28]. Se fosse soddisfatta, la richiesta comporterebbe un quid pluris rispetto ad un’attività di elaborazione dati, ossia l’assunzione di una sorta di impegno continuativo, consistente nel salvataggio dei dati informatici.
Limiti in generale
La richiesta non deve essere generica o indeterminata e deve indicare i documenti che si vogliono visionare, non deve essere emulativa o ostruzionistica. Non deve essere volta a soddisfare interessi di natura personale, sebbene, come accennato, non sia consentito all’amministrazione indagare sull’interesse sotteso all’accesso perché, in sintesi, controllato e controllore finirebbero con l’invertire i loro ruoli.
Limiti di proporzionalità e ragionevolezza
I consiglieri, specie quando inoltrano un’istanza di accesso, devono ragionare secondo criteri di logicità e di coerenza, oltre che di buon senso, perché in un’ottica di regole non sono scritte nelle leggi, devono agire con la consapevolezza di svolgere il loro incarico pubblico di controllore dell’amministrazione, ispirandosi quantomeno ai principi generali di buon andamento, leale cooperazione, efficienza ed economicità. Il loro ruolo, se ben espletato, rappresenta una vera e propria risorsa della collettività. Altrimenti grava su quest’ultima.
Sul tema si segnala una pronuncia di un tribunale di merito: «Ovviamente, quale membro del massimo organo collegiale dell’Ente, il Consigliere – anche per ragioni etiche e di deontologia della funzione – deve darsi carico della funzionalità ed economicità dello stesso. Per cui, anche al fine di scongiurare una possibile paralisi dell’attività degli uffici (derivante, ad esempio, da richiesta urgente e improvvisa di rilevante mole di documenti), ci si deve attendere che il Consigliere agisca in modo oculato e prudente nella richiesta di copie. Attesa la prevalente utilizzabilità degli atti e documenti all’interno dell’Organo collegiale (come detto, l’art. 43, 2° comma, più volte richiamato, prevede l’obbligo della segretezza), resterà nel prudente apprezzamento dell’interessato chiedere le copie dei soli documenti che si rendono necessari per sostenere e dimostrare le proprie tesi nelle sedi opportune»[29].
I criteri ora enunciati, quindi, dovrebbero ispirare l’azione del consigliere che, in ogni caso, non deve piegare le alte finalità del mandato per «scopi meramente emulativi od aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell’ente civico»[30].
In sintesi, non è ammissibile che l’ufficio si paralizzi per soddisfare le richieste ostensive dell’eletto.
Alla luce di questi criteri, a giudizio di chi scrive, quando il consigliere redige una richiesta di accesso deve tener conto di tre fattori essenziali: la quantità di documenti richiesti, il criterio di individuazione degli stessi e la forma.
Al mutare di questi fattori mutano le risorse che l’amministrazione deve impiegare per soddisfare la richiesta. Combinandoli si può far sì che una richiesta sia proporzionata e ragionevole, mentre l’accesso potrebbe essere negato se anche solo uno di questi appaia esorbitante.
Ad esempio, si possono chiedere tutte le delibere di giunta degli ultimi 20 anni, sapendo che il comune le ha già salvate su un supporto informatico, pronte per essere copiate, ma non se fossero solo disponibili in forma cartacea, magari da ricercare presso altri archivi e da fotocopiare.
Il consigliere è tenuto a redigere un’istanza che faccia «riferimento ad una determinata e specifica questione oggetto dell’attività amministrativa»[31]. Ogni istanza deve essere formulata «in maniera specifica e dettagliata, recando l’esatta indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli elementi che consentano l’individuazione dell’oggetto dell’accesso»[32], con l’ulteriore «limite della proporzionalità e ragionevolezza delle richieste, contemperando, quindi, il diritto di accesso con l’esigenza di non intralciare lo svolgimento dell’attività amministrativa e il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico»[33].
Non sono mancate pronunce in occasione delle quali è stato concesso al consigliere spingersi al limite della proporzionalità e ragionevolezza[34]: «Le (…) norme disciplinanti l’accesso dei consiglieri (…) – afferma il Consiglio di Stato – non pongono, infatti, limiti quantitativi agli atti cui si chieda di accedere, né presuppongono che di tali atti i richiedenti conoscano già il contenuto, sia pure approssimativamente.
Il che è ovvio, se appena si considera che l’espletamento del mandato di cui sono investiti i consiglieri comunali li abilita a conoscere tutte quante le attività svolte dall’Amministrazione comunale nonché dalle aziende e dagli enti dipendenti, affinché possano consapevolmente intervenire in ogni singolo settore.
Né è a dire che la richiesta di accesso agli atti possa essere limitata a quelli dei quali i consiglieri richiedenti conoscano approssimativamente il contenuto, ben potendo l’intervento connesso al mandato ravvisarsi opportuno anche a seguito dell’acquisita conoscenza di atti precedentemente del tutto ignorati».
Il diritto accordato dall’art 432del T.U.E.L. non stabilisce alcun parametro di riferimento per consentire all’interprete di porre dei limiti all’accesso con sufficiente precisione. Il rispetto dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza della richiesta è finalizzato a contemperare «il diritto di accesso con l’esigenza di non intralciare lo svolgimento dell’attività amministrativa e il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico»[35].
L’acquisizione di notizie tramite visione o in copia
Il lavoro che viene richiesto di compiere all’amministrazione è diverso a seconda che si chiedano notizie in copia o tramite la sola visione.
Le richieste indiscriminate di copie, ad esempio, comportano un aggravio eccessivo dell’amministrazione, potendo ingenerare un danno giuscontabile, inteso nella definizione fatta propria dalla Corte dei Conti, come «non una qualsiasi diminuzione del patrimonio dell’ente, ma un evento economicamente lesivo che si riveli oggettivamente “ingiusto” per l’amministrazione, quale una richiesta esorbitante o per fini esclusivamente personali, o per porre in essere una condotta emulativa, al fine di recare molestia e intralcio al funzionamento degli uffici con l’uso spropositato e dispendioso della macchina fotocopiatrice. (…) richieste indiscriminate di copia di deliberazioni possano risultare esorbitanti rispetto alle esigenze cognitive che il doveroso esercizio della funzione di controllo sull’amministrazione impone alla vigile attenzione di ogni consigliere comunale, sia di minoranza che di maggioranza; si pensi a quegli atti di cui sarebbe superflua, ai fini dell’espletamento del mandato rappresentativo, l’acquisizione documentale, potendo rivelarsi più che sufficiente averne sommaria visione; si pensi, ancora, agli atti deliberativi particolarmente complessi dei quali fanno parte integrante corposi allegati amministrativi e tecnici, la cui riproduzione implicherebbe costi notevoli di copiatura per l’Amministrazione (ad esempio: atti approvativi di piani regolatori generali)»[36].
In base a queste considerazioni deve perciò ritenersi inammissibile l’istanza di accesso preordinata ad ottenere copia di tutta la corrispondenza in arrivo ed in partenza intercorrente tra il Comune e altri enti istituzionali, ma deve essere accolta la richiesta dei consiglieri comunali di prendere visione del protocollo generale e di quello riservato al sindaco[37].
In questo contesto le richieste generiche ed indiscriminate[38], emulative[39], ostruzionistiche[40]o volte a paralizzare l’attività amministrativa[41][42]non sono né proporzionate, né ragionevoli.
Anche chiedere una copia conforme può configurare un ostacolo all’attività degli uffici[43].
I costi legati all’accesso
Al consigliere che esercita l’accesso nell’amministrazione di appartenenza[44]non deve essere addebitato alcun costo. La ratiodi questo orientamento pacifico e consolidato si individua nella natura dell’attività dell’eletto, perché egli oltre ad avere diritto ha anche un obbligo (più che altro morale, etico) di impegnarsi per controllare l’amministrazione e la gratuità dell’accesso è riconosciuta per garantire un più proficuo svolgimento dell’attività ispettivo-amministrativa e di espletamento del mandato.
Il costo sopportato dal consigliere, difatti, non verrebbe a comprimere il diritto del singolo, bensì l’interesse pubblico.
A maggior ragione, l’accesso del consigliere non può violare i principi di efficienza ed economicità dell’amministrazione.
Proprio l’aspetto dell’economicità, perciò, tocca la materia del costo di ricerca degli atti, documenti, notizie o informazioni e della eventuale stampa, che deve essere contemperato con il diritto dell’eletto.
L’amministrazione deve quindi farsi carico di qualsiasi spesa, ma il procedimento non deve generare un dispendio di risorse economiche, temporali, strumentali ed umane di particolare rilievo. Non è consentito all’ente locale neanche stabilire con una norma regolamentare il pagamento del costo delle copie richieste e rilasciate ai consiglieri comunali, seppure con la tariffa ridotta rispetto a quella fissata per i cittadini[45].
Una «vantaggioso sistema che permette di non aggravare l’ordinaria attività amministrativa», che quindi, secondo la giurisprudenza, volge nel senso dell’economicità e della trasparenza, non comportando particolari aggravi per la P.A., è individuabile nel rilascio di una password del sistema informatico del comune per accedere al programma di contabilità. «il documento c’è – suggerisce il Consiglio di Stato – non viene meno per il fatto che sia di carattere informatico»[46].
Restando sul tema, il comune deve consentire l’accesso sito Web cui è abbonato e non può opporre, quale scusa, che “la password di accesso è strettamente personale e comunicata direttamente agli incaricati del servizio e non è possibile condividerla o comunicarla ad altri soggetti”. Infatti, il ricorso a supporti magnetici o l’accesso diretto tramite utilizzo di apposita password al sistema informatico dell’Ente è uno strumento di accesso certamente consentito al consigliere comunale che favorirebbe la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa. Il consigliere comunale rimane responsabile della segretezza della password di cui è stato messo a conoscenza a tali fini.[47]
L’organizzazione degli uffici
E’ consentito all’amministrazione di porre all’eletto un limite temporale all’accesso al protocollo generale, determinando «le giornate (almeno una al mese) e la fascia oraria in cui il consigliere comunale potrà periodicamente prenderne visione, ed eventualmente estrarne copia, secondo modalità fissate in maniera tale da non rendere però ingiustificatamente difficoltoso l’esercizio del diritto del ricorrente»[48]. Per contro, «sotto il profilo organizzativo l’accesso al protocollo comunale non deve creare intralcio all’attività degli uffici e pertanto l’amministrazione può prevedere delle limitazioni nell’orario e nella facoltà di ottenere l’assistenza del personale addetto. Tali limitazioni devono essere proporzionate alle esigenze di servizio»[49].
Tuttavia, le amministrazioni non possono prescindere dal dettato normativo sull’ampio diritto all’informazione riservato ai consiglieri. Per questo, hanno il dovere di dotarsi di una struttura burocratica rispondente alle esigenze dell’eletto che intende ottenere gli atti in un arco di tempo ragionevole. Anche gli enti locali «sono tenuti a curare tutti gli adempimenti a loro carico, e quindi a dotarsi di tutti i mezzi (personale, strumentazioni tecniche e materiali vari) necessari all’assolvimento dei loro compiti[50].
Perciò gli uffici devono organizzarsi in modo adeguato, in quanto la prerogativa dei consiglieri«non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell’ente». L’unica eccezione è concessa qualora la richiesta sia di una «certa gravosità»[51], affinché non si determini un’interruzione delle attività correnti per rispondere all’istanza del consigliere.
Si potrebbe predisporre un apposito capitolo di bilancio dotato di stanziamento adeguato ai costi conseguenti al rilascio di copie, esenti da diritti e spese, in favore dei consiglieri comunali.
Si potrebbe altresì stabilire un specifica disciplina da predisporre in sede di regolamento dell’Ente che, pur non rendendo eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto, ne preveda le concrete modalità al fine di evitare richieste che esorbitino dalle facoltà dei consiglieri, che si presentino ripetitive o generiche o riguardino aspetti meramente personali non connessi all’espletamento del mandato.[52]
I requisiti soggettivi
L’interesse qualificato e la motivazione
La possibilità di accedere alle informazioni dell’ente locale di appartenenza è stato riconosciuto non per consentire un perseguimento di interessi personali, ma perché l’interesse sotteso all’accesso del consigliere «ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al Consiglio comunale (al cui svolgimento è funzionale)»[53].
L’interesse pubblico è presunto e non deve essere provato.
Quando il consigliere effettua l’accesso non deve dimostrare nulla oltre alla propria qualifica, perché che egli agisce per un interesse pubblico sorretto da una presunzione assoluta[54](praesumptio juris et de jure, che quindi non ammette prova contraria). Una forma di tutela, quindi, che sottrae l’interesse del consigliere da qualsiasi scrutinio di merito dell’amministrazione «in ragione della natura politica e dei fini generali connessi allo svolgimento del mandato affidato dai cittadini elettori ai componenti del Consiglio Comunale»[55].
Egli non deve motivare la richiesta, né l’ente può pretendere che lo faccia, altrimenti gli uffici sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l’ambito del controllo sul proprio operato[56]. In altri termini, si verificherebbe la paradossale circostanza per la quale l’amministrazione controllata cercherebbe di controllare l’operato del proprio controllore. Così facendo si ergerebbe ad arbitro delle forme di esercizio delle potestà pubbliche proprie del consiglio.
Se poi il destinatario fosse la giunta o il sindaco, a maggior ragione si consentirebbe ad un organo politico di effettuare una valutazione sull’istanza di accesso di un altro soggetto che svolge un incarico politico.
Il diritto soggettivo pubblico riconosciuto al consigliere è espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività. In quanto tale è direttamente funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico connesso al mandato conferito, onde i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere di utilità all’espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare – con piena cognizione – la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.[57]
Per completezza giova segnalare una pronuncia dei giudici del Tar Calabria destinata a rimanere isolata, con la quale viene capovolta l’impostazione interpretativa ora esposta, sostenendo la necessità di coordinare la normativa dei consiglieri con la disciplina dell’acceso alle informazioni dei cittadini ex lege 241/1990 in tema di interesse qualificato, affermando che «anche il consigliere comunale deve essere portatore di un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale richiede l’accesso».[58].
Ad ogni modo l’interesse pubblico non deve celare un interesse personale a consentire di aggirare gli ostacoli che la normativa sull’accesso pone ai cittadini, perché ciò sarebbe contrario alla ratioispiratrice della norma sui consiglieri e rischia di essere generare dei rischi rilevanti se gli atti consegnati a terzi contengono informazioni riservate che i consiglieri non devono rilevare.
L’utilità dell’accesso
Le notizie e le informazioni richieste, secondo l’art. 43, comma 2 del T.U.E.L., devono essere utili all’espletamento del mandato. L’aggettivo potrebbe essere prima facie inteso come elemento limitativo, ma il Consiglio di Stato ha interpretato l’enunciato in modo da attribuire il massimo livello di garanzie e di estensione del diritto al consigliere: «Allorchè una richiesta di accesso è avanzata per l’espletamento del mandato risulta, invero, insita nella stessa l’utilità degli atti richiesti al fine dell’espletamento del mandato. Il riferimento alle notizie ed alle informazioni “utili” contenuto nella norma in esame non costituisce affatto una limitazione, se appena si considera l’intero contesto della disposizione»[59].
Si consente, quindi, al consigliere di accedere ad un’amplissima gamma di informazioni e notizie, cosicché gli uffici non possono pretendere che le informazioni richieste siano strettamente indispensabili all’esercizio del mandato[60]e il regolamento comunale non può limitare in questi termini il diritto dell’eletto[61]
Materie che non sono competenza del consiglio e atti risalenti ad epoche remote o riguardanti procedimenti conclusi.
Le informazioni e le notizie oggetto della disciplina sull’accesso da parte del consiglieri, possono anche estendersi in un tempo che non necessariamente deve coincidere con la durata del mandato. «E’ evidente, infatti, che possono ben riuscire utili o necessari all’espletamento del mandato di consigliere comunale anche atti risalenti a pregressi periodi della vita amministrativa del Comune, giacché il mandato di che trattasi non è avulso dall’intera vita dell’Ente locale che, per sua natura, non si interrompe ad ogni legislatura, così come non sono limitati alla semplice durata di una legislatura gli effetti degli atti compiuti dal Consiglio comunale e, quindi, da ciascun Consigliere comunale»[62].
L’accesso può avere ad oggetto ogni materia, perchè «il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze amministrative del Consiglio comunale ma, essendo riferito all’espletamento del mandato, investe l’esercizio del munus di cui egli è investito in tutte le sue potenziali implicazioni, al fine di una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’Amministrazione comunale»[63].
Il rapporto tra il diritto di informazione, il segreto e la riservatezza
Dopo aver delineato i confini del diritto dei consiglieri, la disposizione di cui all’art. 43, comma 2 del T.U.E.L. chiude con l’enunciato: «Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge». Questa frase ha una funzione centrale, perché solca profondamente i contorni del diritto in tema di riservatezza, affermando l’esistenza di un potere di ampia portata. Potere che vince ogni confronto.
La norma sta a significare che non esistono limiti da imporre al consigliere legati alla privacy o al segreto.
I controinteressati non sono contemplati nel diritto di informazione dei consiglieri comunali così come, invece, lo sono nella legge 241/1990. Tali sono «tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza». Difatti, «La legge non prende dunque in considerazione la posizione di coloro che potrebbero opporsi all’accesso ( cui accorda come unica protezione l’obbligo del segreto a carico del consigliere comunale, con possibilità di far eventualmente valere nelle sedi competenti la violazione di tale obbligo ) e pertanto non è configurabile in materia alcun controinteressato»[64].
In secondo luogo, non esistono i livelli di tutela, perché il diritto di informazione «non incontra alcuna limitazione in relazione (…) alla eventuale natura riservata degli atti»[65]e «lecitamente acquisite e le informazioni e le notizie utili all’espletamento del mandato, il consigliere, di regola, è autorizzato a divulgarle. Un divieto di comunicazione a terzi deve derivare da apposita disposizione normativa»[66]. Anzi, «non sussiste alcuna ragione logica perché possa essere loro inibito l’accesso ad atti riguardanti i dati riservati di terzi»[67]
Perciò la prerogativa dei consiglieri è talmente marcata che a fronte del diritto soggettivo pubblico riconosciuto a questi recede ogni altro interesse, «inclusa la riservatezza di eventuali controinteressati». Se tutelasse il loro l’interesse, il diritto all’informazione confliggerebbe, «frustrandola, con la stessa ratioprimaria della norma in esame»[68].
Anche il Garante per la protezione dei dati personali ha fatto il punto sul diritto spettante al consigliere, affermando che, quando vi sono dati sensibili l’esercizio del diritto è indispensabile per lo svolgimento della funzione di controllo, di indirizzo politico, di sindacato ispettivo e di altre forme di accesso a documenti riconosciute dalla legge e dai regolamenti degli organi interessati per consentire l’espletamento di un mandato elettivo[69].
Il Garante inibisce il consigliere dall’utilizzare le informazioni per finalità di natura privata, affermando che i dati così acquisiti debbano essere utilizzati per le sole finalità connesse all’esercizio del mandato, rispettando il divieto di divulgazione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute[70]e il dovere di segreto nei casi specificamente determinati dalla legge, nonché i divieti di divulgazione dei dati personali (v. art. 22, comma 8, del Codice, che vieta la diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute)[71]
Si è trattato, in giurisprudenza, di“segreti reali” impenetrabili,rispetto ai quali la segretezza connessa alla qualifica rivestita dal consigliere comunale non costituisca un’idonea garanzia di non divulgazione della relativa informazione[72]. Ma la massima sembrerebbe essere rimasta inapplicata.
A cavallo con il secolo scorso non sono mancate pronunce limitative della prerogativa degli eletti, secondo le quali il diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai dati effettivamente utili per l’esercizio del mandato e ai fini di questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, nonché rispettando il dovere di segreto “nei casi espressamente determinati dalla legge”, e “i divieti di divulgazione dei dati personali”[73].
Con riferimento al segreto, è stata anche negata la sussistenza di un diritto di accesso indiscriminato al protocollo generale del comune, riscontrandosi nello stesso materie coperte da segreto[74]. Indirizzo interpretativo che è stato abbandonato negli anni successivi, in favore dell’ampio diritto di accesso[75].
Profili di responsabilità
In caso di violazione dell’obbligo del segreto non esiste una disciplina speciale che punisce il consigliere, ma questi potrà rispondere sia in sede civile, che penale.
Ad esempio, è stato ritenuto colpevole del delitto di rivelazione di segreto di ufficio il presidente di una commissione speciale per la trasparenza che ha riferito nel corso di una conferenza stampa e riportato in una denuncia presentata all’autorità giudiziaria ed alla Corte dei conti il contenuto di tabulati relativi ai dati esterni di conversazioni telefoniche effettuate, per ragioni non istituzionali, dal sindaco e da assessori su utenze radiomobili intestate al comune ed in loro dotazione. [76]
La Cassazioneha però anche escluso che possa estendersi ai consiglieri comunali la disciplina prevista per gli impiegati civili dello Stato che impone l’obbligo del segreto di ufficio sui provvedimenti o operazioni amministrative in corso o concluse[77].
Nulla esclude che il terzo indebitamente leso dalla rivelazione delle informazioni possa far valere i propri diritti direttamente nei confronti del consigliere. E’ raccomandabile, quindi, che gli impiegati oscurino le informazioni in modo che i terzi non siano messi in condizioni di leggere i dati personali od anche solo di desumerli dal contesto del documento.
Difatti, suggerisce l’authority per la trasparenza, la responsabilità di aver messo in condizione il consigliere comunale di conoscere dati sensibili cede di fronte al diritto di accesso incondizionato del medesimo, ma può essere invocata dal terzo eventualmente danneggiato solo nei confronti di chi (consigliere comunale) del suo diritto abbia fatto un uso contra legem»[78].
La responsabilità per il diniego illegittimo dell’amministrazione
Il responsabile del procedimento può incorrere in responsabilità di ordine penale e amministrativo, qualora il provvedimento di diniego, sia tacito, che espresso, sia illegittimo.
Ciò in presenza di un comportamento caratterizzato da colpa grave, ossia un disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni, di trascuratezza dei propri doveri, di negligenza massima.
Un rifiuto apparentemente legittimo, ma di fatto specioso o pretestuoso si risolve in illegittima manifestazione dell’attività amministrativa. Ad esempio, può configurare il delitto di cui all’articolo 323 del codice penale la condotta abusiva dei componenti di una giunta municipale che di fatto impediscano a un consigliere comunale di prendere visione degli atti di giunta[79].
(Riproduzione riservata)
[1]Cons. St., sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4855
[2]Cons. St., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471
[3]Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 27 novembre 2008, n.1535 in Ferrari G.(a cura di), Limiti al diritto di accesso ai documenti da parte dei consiglieri comunali, in Giornale di diritto amministrativo, 2/2009, pag. 182
[4]Comm. Accesso, parere del 17 gennaio 2012
[5]Cons. St., sez. V, 28 novembre 2006, n. 6960 in Palazzi F.(a cura di), Diritto dei consiglieri comunali e provinciali agli atti degli enti locali, in Comuni d’Italia, 3/2007
[6]Cons. St., sez V, 8 settembre 1994, n. 976
[7]Cons. St, sez. V, 9 dicembre 2004, n. 7900
[8]V. Cons. St. sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471
[9]Così Rinaldi M.I., Note sul “diritto di accesso” dei consiglieri comunali, in Giustizia Amministrativa, 2008, fasc. 3, pagg. 30-53
[10]Comm. accesso, parere del 20 dicembre 2006
[11]Comm. accesso, parere del 4 giugno 2009
[12]Comm. accesso, parere del 16 marzo 2010
[13]così l’art. 6, comma 2, D.P.R. 12 aprile 2006 n° 184“La richiesta formale presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di accesso e’ dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente. Di tale trasmissione e’ data comunicazione all’interessato”.
[14]Tar Lombardia, Milano, sez. III, 6 marzo 2008, n. 499; Tar Campania, Napoli, sez. V, 26 aprile 2007, n.4415; Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 19 aprile 2007, n. 463
[15]Azzoni V., Il diritto di accesso agli atti amministrativi secondo la più recente giurisprudenza, 1) Principi, requisiti, modalità, casi di esclusione, in Nuova rassegna di dottrina, legislazione, giurisprudenza, n.17/2008, pagg. 1785 e ss.
[16]Papania R.,Brevi riflessioni sul diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali, in Il Foro Amm.: CdS, 2007, Vol. 6, Fasc. 3, pagg. 924 e ss.
[17]Comm. accesso, parere del 12 marzo 2008
[18]Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 929
[19]Lucca M., Il diritto di accesso dei consiglieri comunali nello scenario giurisprudenziale, Comuni d’Italia, 2010, n.4, pagg.29 – 35
[20]Cons. St., sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716
[21]Cons. St., sezione quinta, 6 dicembre 1999, n. 2046
[22]Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2005 n. 5879
[23]Questo principio è stato il più delle volte fatto proprio dagli organi di giustizia amministrativa, anche se non sono mancate pronunce che, temperando la prerogativa del consigliere, negavano a questi l’accesso alla registrazione fonica della seduta del consiglio, qualificandola come mero ausilio tecnico all’esercizio dell’attività consiliare. Sull’argomento V. Fèrola L., Il diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali ai documenti e informazioni detenuti dall’ente di appartenenza: profili problematici,Giurisprudenza di merito, n.6/2009, pagg. 1679 e ss, a commento della sentenza Tar Umbria, Perugia, sez. I, 30 gennaio 2009, n.21 in cui i giudici perugini hanno accordato l’accesso alle registrazioni, non essendo, la prerogativa dei consiglieri, strettamente limitata agli atti qualificabili come documento amministrativo in senso stretto. L’autore confronta la pronuncia ora indicata con la sentenza del Tar Veneto, Venezia, sez. II, 9 gennaio 2002, n. 60, che nega il relativo accesso.
[24]Tar Umbria, sez. I, 30 gennaio 2009, n. 21
[25]Sul punto Italia V., Registratori vietati in seduta consiliare, in Il Sole 24 Ore del 23 luglio 2001
[26]Cons. St., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471;Tar Lombardia, Milano, sez. I, 7 aprile 2006, n. 970
[27]Cons. St., sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4855
[28]Comm. accesso, parere del 10 dicembre 2002
[29]T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, sent. n. 140/2004
[30]Cons. St., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471
[31]Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 12 gennaio 2007, n. 29
[32]Cons.St., sez. V, 13 novembre 2002, n. 6293; Cons. St., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471; Cons. St., sez. V, 28 novembre 2006, n. 6960
[33]Corte dei Conti, Sez. reg. di controllo per la Liguria, parere del 12 marzo 2004, n. 1
[34]Così Cons. St., 4 maggio 2004, n. 2716; V. anche Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2005, n.5879;Tar Toscana, Firenze, 18 aprile 2007, n. 662
[35]Corte dei Conti, cit.
[36]Corte dei Conti, cit.
[37]Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 12 gennaio 2007, n. 29
[38]Tar Toscana, Firenze, sez. I, 11 novembre 2009, n. 1607 con nota di Cosmai P., I limiti del diritto di accesso dei consiglieri de jure condito e de jure condendo, cit.
[39]Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, 16 gennaio 2008, n. 32 con nota di Bombardelli M., L’esercizio del diritto di accesso da parte dei consiglieri comunali, in Giornale di diritto amministrativo, n.10/2008
[40]Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 27 novembre 2008, n.1535 con nota di Ferrari G.(a cura di), Limiti al diritto di accesso ai documenti da parte dei consiglieri comunali, in Giornale di diritto amministrativo, 2/2009, pag. 182
[41]T.R.G.A., Trento, 7 maggio 2009, n. 143
[42]Le ultime sentenze in nota sono indicate in Cosmai P.,I limiti del diritto di accesso dei consiglieri de jure condito e de jure condendo, cit.
[43]Gravallese I., Accesso agli atti dei consiglieri comunali fra tutela e abuso del diritto, in Nuova Rassegna, 2003, pag. 1846
[44]Sull’arcomento V. La Torre G., In tema di accesso ai documenti dei Consiglieri Comunali, L’Amministrazione Italiana, 5/2006, che richiama Cons. St., sez. V, 8 settembre 1994, n. 976 e Tar Puglia, sez. II, 10 agosto 1999, n. 6761
[45]Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 12 marzo 2002, n.570
[46]Cons. St., sez. V, 8 settembre 2011, n.5058
[47](Parere espresso dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi nella seduta del 23 febbraio 2010)
[48]Tar Emilia Romagna, Parma, sez. I, 26 gennaio 2006, n. 28
[49]Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 1 marzo 2004 n. 163; Sull’argomento V. anche, Beccaria M.L., Amministratori comunque vincolati al segreto, in Il Sole 24 Ore – Guida agli Enti Locali, ed. 8 aprile 2006, n. 14, pagg. 100 e ss.
[50]Cons. St., sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716
[51]Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 929
[52]Corte dei Conti, sez. reg. contr. Puglia, parere del 19 febbraio 2008, n. 1
[53]Cons. St., 2 settembre 2005, n. 4471; V. anche Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, 16 gennaio 2008, n. 32
[54]Cons. St., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471
[55]Cons. St., sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716
[56]Cons. St., sez. V, 7 maggio 1996 n. 528; Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2005 n. 5879
[57]Cons. St., sez V, 8 settembre 1994, n. 976.
[58]Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 27 novembre 2008, n.1535 in Ferrari G.(a cura di), Limiti al diritto di accesso ai documenti da parte dei consiglieri comunali, in Giornale di diritto amministrativo, 2/2009, pag. 182;
[59]Cons. St. sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716; V. anche Cons. St. sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5789
[60]Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 929.
[61]Lucca M., Nessun limite regolamentare al diritto di accesso dei consiglieri comunali, in La gazzetta degli enti locali, 23/03/07 che richiata Cons. St., sez. V, 11 maggio 2004, n. 2966. V. anche Cons. Sr., sez. IV n. 59 del 26.1.1999 e sez. V n.6293 del 13.11.2002
[62]Tar Abruzzo, Pescara, 16 dicembre 2004, n. 1100; Sull’argomento V. anche Cons. St., sez. V, 4 maggio 2004, n. 2176
[63]Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001, n.1893. V. anche Cons. St., sez. V, 26 settembre 2000, n.5109; Cons. St., sez. V, 21 febbraio 1994, n.119; Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001, n.1893; Cons. St., 11 maggio 2004, n. 2996.
[64]Cons. St., sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5264
[65]Cons. St., Sez. V, 8 novembre 2011, n. 5895
[66]Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893
[67]Cons. St., sez. V, 04 maggio 2004, n. 2716
[68]Cons. St., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471
[69]Garante Privacy, Relazione 2004, L’attività svolta dal Garante, Par. 1-6, da www.garanteprivacy.it
[70]Garante Privacy, Relazione 2004, L’attività svolta dal Garante, Par. 1-6, da www.garanteprivacy.it
[71]Garante Privacy, Relazione 2008, L’attività svolta dal Garante, cap. 3, da www.garanteprivacy.it; richiama Garante Privacy, Nota 12 gennaio 2009
[72]Cons. St., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471
[73]V. Garante privacy, 20 maggio 1988, richiamata in Cons. St., sez. V, 26 settembre 2000, n. 5109
[74]Tar Veneto, Venezia, sez. I, 30 marzo 1995, n. 489
[75]Tar Lombardia, Brescia, 20 aprile 2005, n. 362; Tar Abruzzo, Pescara, 16 febbraio 2004, n. 1100
[76]Cass. Pen., sez. VI, sent. 8 marzo 2002, n. 9331, in Cons. St., 2002, II, 1554
[77]Cass., Sez. Pen. VI, 12 ottobre 2009, n. 39706
[78]Comm. accesso, parere dell’11 gennaio 2011
[79]Cass. Pen., sez. VI, sent. 28/05/1997, n. 4952