La crisi della coppia apre, tra l’altro, una serie di problematiche di natura patrimoniale tra le quali assume un particolare rilievo quella riguardante la casa familiare.
Per casa familiare si intende “quell’insieme di beni, mobili e immobili, finalizzati all’esistenza domestica della comunità familiare e alla conservazione degli interessi in cui si esprime e si articola la vita familiare” (Cass. 4 luglio 2011, n. 14553), non, quindi, un altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità e che comunque usassero in via temporanea o saltuaria.
La casa familiare può essere, tra l’altro, di proprietà di uno od entrambi i coniugi e viene assegnata in forza e secondo le modalità indicate dall’art. 337 sexies c.c. che, in primo luogo, stabilisce che il godimento è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
Difatti, l’assegnazione risponde all’esigenza di conservare l'”habitat” domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare.
Non importa di chi sia la proprietà della casa, se dell’un coniuge o di entrambi, perché sarà comunque assegnata al genitore presso cui i figli sono collocati. Ad ogni modo giova rilevare che la norma del codice civile poc’anzi richiamata stabilisce che dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.
Perciò, in presenza di un accordo tra le parti ritualmente omologato o di una sentenza, la casa familiare verrà assegnata al genitore collocatario dei figli, indipendentemente da chi sia titolare del diritto di proprietà. Lo si farà mediante l’attribuzione di un diritto.
Per comprendere la natura del diritto giova richiamare la definizione offerta dalla Suprema Corte:
“Il diritto di abitazione della casa familiare e’ un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale), previsto nell’esclusivo interesse dei figli (articolo 155 c.c., comma 5) e non nell’interesse del coniuge affidatario, che viene meno con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non avendo più ragione di esistere” (Cass. 18-09-2013, n. 21334).
L’immobile si più vendere l’immobile una volta assegnato e, se in comproprietà tra i coniugi, si potrà anche procedere ad una divisione. Quindi potrà essere oggetto di trasferimento della quota di proprietà dell’uno in favore dell’altro coniuge, con corresponsione dei conguagli.
Questi atti di disposizione sono possibili perché l’assegnazione della casa familiare configura sì un diritto di godimento sull’immobile, ma la presenza del vincolo non ne impedisce il trasferimento del diritto di proprietà.
Il tema, piuttosto, è un altro ed attiene al valore dell’immobile, che per via della presenza del provvedimento di assegnazione sarà decurtato rispetto a quello di uno stesso immobile alienato libero da persone e cose.
Nel caso, invece, i coniugi vogliano procedere a divisione, occorre tener conto di due orientamenti della Corte di Cassazione che stabiliscono se debba o meno tenersi conto del provvedimento di assegnazione ai fini della valutazione del valore della casa.
Con il primo viene data risposta affermativa: “L’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non sia eventualmente modificato sicché nel giudizio di divisione se ne deve tenere conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge ovvero venduto a terzi”. (Cass. Civ., sez. II, sent. 22 aprile 2016, n. 8201);
Con secondo indirizzo, più recente, viene stabilito che “L’assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 155 c.c. previgente e art. 155 quater c.c., ovvero in forza della legge sul divorzio, non può essere considerata in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora l’immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento stesso, atteso che tale diritto è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario e, diversamente, si realizzerebbe una indebita locupletazione a suo favore, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale” (Cass. Civ., sez. 2, sent. 9 settembre 2016, n. 17843).
Avv. Marco Giudici
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Rassegna di giurisprudenza
La casa familiare spetta al genitore che vive col figlio più fragile (Cass. 19561/2021)
“In particolare i Giudici del reclamo hanno ritenuto il figlio A. più fragile perchè “psichicamente provato dai conflitti familiari” ed hanno altresì considerato vantaggioso, in conformità alla volontà espressa dal ragazzo, un suo ritorno ad Ortisei, nella casa familiare, con il padre, con il quale vive da quando volontariamente ha cessato di abitare con la madre, per avere con quest’ultima un rapporto “problematico” ancora non risolto”.