Le persone che si fanno carico dei bisogni altrui corrispondendo il necessario per vivere sotto forma di elargizioni periodiche in denaro eseguono, salvo eccezioni, una prestazione alimentare o di mantenimento.
Alimenti e mantenimento corrispondono a due differenti istituti giuridici con elementi distintivi propri di carattere sia qualitativo che quantitativo. Vantano, inoltre, differenti funzioni e discipline.
Difatti, il mantenimento mira a soddisfare qualsivoglia esigenza di vita, anche quelle non strettamente necessarie alla sopravvivenza ed anche a prescindere da uno stato di bisogno, mentre con l’obbligo alimentare si viene incontro alle esigenze più elementari di vita, come il vitto, il vestiario, le cure mediche, l’abitazione, nonché, in caso di figli minori, le spese per l’educazione e l’istruzione (Gazzoni).
Ad esempio, è espressamente previsto il mantenimento come dovere in capo ai genitori, tra l’altro, dall’art. 30 della Costituzione, nonché dall’art. 147 del codice civile.
Gli alimenti, invece, a mente del primo e secondo comma dall’art. 438 c.c., possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento. Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale.
Qualora sussistano i presupposti gli alimenti devono essere corrisposti a partire dal momento in cui vengono domandati (v. art. 445 c.c.), e posti a carico di una serie di persone indicate dalla legge che non fanno necessariamente parte del ristretto nucleo familiare, poiché vi sono anche generi e nuore, suoceri e suocera, il donatario (ossia colui che riceve una donazione salvo che non sia obnuziale o rimuneratoria, v. art. 438 c.c.) oltre che, in seguito all’introduzione della legge Cirinnà, il convivente in caso di cessazione del rapporto.
Tuttavia, occorre chiedersi se una persona può beneficiare di un mantenimento o di alimenti a prescindere dalla condizione di bisogno e dal vincolo familiare o, comunque, da qualsivoglia diritto riconosciutogli in relazione alle sue condizioni.
In sostanza, può una persona ricevere mantenimento o alimenti, per contratto, da un estraneo?
Ma soprattutto, può pretendere che questi benefici siano corrisposti a vita?
Vediamo cosa prevede la legge.
Nel nostro ordinamento sono ritenuti validi (si suol dire meritevoli di tutela) due contratti atipici, denominati l’uno vitalizio alimentare, l’altro contratto di mantenimento.
Questi corrispondono a due figure affini alla rendita vitalizia di cui agli artt. 1872 e ss. del codice civile. Ne costituiscono, tuttavia, una sorta di deviazione dal tema poiché se da una parte la rendita vitalizia consente, finché dura la vita, di percepire una rendita in cambio della cessione di un bene o di una somma di denaro, dall’altra il vitalizio alimentare ed il contratto di mantenimento consentono, sempre vita natural durante e sempre in cambio della cessione di un bene o di una somma di denaro, di percepire gli alimenti o il mantenimento.
I tre contratti di cui sopra si accomunano ad un altro, denominato vitalizio assistenziale, che è stato già trattato in un altro articolo (link)
Vitalizio alimentare, contratto di mantenimento e vitalizio assistenziale, si distinguono dalla rendita vitalizia poiché in quest’ultimo si corrisponde una somma di denaro, mentre le altre figure sono caratterizzate da un contenuto non patrimoniale della prestazione di assistenza cui è tenuto il vitaliziante.
Giova premettere che sia in dottrina che in giurisprudenza l’argomento è molto dibattuto e controverso e che, quindi, la presente trattazione offre una delle molteplici chiavi di lettura degli istituti.
Analizzando la prestazione del vitaliziante tentiamo quindi di distinguere queste tre forme contrattuali atipiche.
- Nel vitalizio alimentare (o contratto di alimenti), il vitaliziante si obbliga a fornire vitto, alloggio, vestiario, ed in genere tutto quanto risultasse necessario per vivere, qualora il beneficiario versasse in un comprovato stato di bisogno. Va detto, però, che anni addietro un Autore affermava che “l’alimentando può anche non versare in stato di bisogno, in quanto egli ha compiuto una tipica operazione aleatoria nella speranza di ritrarne un vantaggio economico”. (Andreoli M., La rendita vitalizia, 2a ed., Torino, 1954, p. 47)
- Nel contratto di mantenimento (o vitalizio di mantenimento) il vitaliziante assume nei confronti del vitaliziato l’obbligazione di provvedere al suo mantenimento per tutta la durata della vita dello stesso. Qui la prestazione è più ampia e prescinde dai riferimenti tipici del contratto alimentare. Eventualmente il vitaliziante potrà garantire al beneficiario il medesimo tenore di vita di cui godeva al momento della conclusione del contratto.
- Nel contratto di vitalizio assistenziale (o contratto di assistenza) il vitaliziante si impegna verso il beneficiario a prestargli, principalmente, una assistenza morale ed un sostegno spirituale, ed eventualmente anche un’assistenza materiale. Così la Cassazione ha delineato gli elementi distintivi del vitalizio assistenziale: “Il negozio con il quale una parte si obbliga verso l’altra, in cambio del trasferimento di un immobile, a prestarle assistenza sia morale, che, in caso di bisogno, materiale, costituisce un contratto atipico nel quale, pur essendo presenti elementi caratterizzanti il cosiddetto “vitalizio alimentare”, è prevalente il contenuto non meramente patrimoniale delle prestazioni dell’obbligato, essendo ritenuta la assistenza morale indefettibile e non eventuale come quella materiale” (Cass. Civ., Sez. II, sent. 19 febbraio 1996, n. 1280).
La linea di confine tra queste tre figure diviene meno marcata nel momento in cui delle clausole proprie di un contratto vengono inserite in un altro (Tizio si prende cura della salute di Caio vita natural durante e si impegna a garantirgli vitto ed alloggio).
Quelli sopra citati sono tutti contratti di natura aleatoria. Vuol dire che la parte vitaliziante deve assumersi un rischio e non deve poter prevedere in quale misura riceverà un vantaggio.
Nel vitalizio alimentare e nel contratto di mantenimento, del vitaliziato è incerta la data di morte e sono mutevoli le sue esigenze ed i suoi bisogni. Se questi fattori sono noti, ad esempio perchè il beneficiario è un malato terminale la cui aspettativa di vita è estremamente ridotta, vuol dire che manca l’alea, quindi il contratto è nullo.
Sono contratti che hanno una funzione previdenziale per il vitaliziato che intenda assicurarsi i mezzi necessari ai suoi bisogni, ma che lo espongono al rischio che il vitaliziante non adempia la propria prestazione. In tal caso vi è il rimedio della risoluzione per inadempimento, sebbene la strada verso la tutela dei propri diritti lesi potrebbe essere tortuosa.
Dall’altra parte il vitaliziato si assicurerà immediatamente un bene ma correndo il pericolo di dover spendere energie e risorse per un valore ben maggiori rispetto a quello di cui ha beneficiato in conseguenza della conclusione del contratto.
In conclusione è bene riproporre la domanda giù formulata: si può essere mantenuti a vita in forza di un vincolo contrattuale?
Detto tutto quanto sopra si può, ma la risposta porta con sé qualche perplessità, innanzitutto perchè questi contratti non hanno un fine speculativo ma previdenziale, cosicché chiunque voglia deviarne la funzione rischierà di non ricevere le tutele sperate qualora sorga una lite.
Ad esempio, la prestazione del vitaliziante, che viene collegata allo stato di bisogno del beneficiario (ma ciò può anche non essere previsto), potrebbe non rivelarsi così intensa come si potrebbe immaginare qualora il beneficiario disponga di risorse sufficienti a garantirsi un sostentamento (ad esempio una buona rendita pensionistica).
In secondo luogo, solo chi è in età avanzata potrà avere modo di reperire una controparte contrattuale disposta a rendere i servigi, mentre i più giovani dovranno attendere poiché una prestazione in loro favore si prospetta non conveniente per il vitaliziante.
Per chi ha ambizioni speculative potrebbe essere più adatta la rendita vitalizia che abbimo definito poc’anzi, assicurandosi il pagamento periodico di denaro in cambio della cessione di un bene.
Ad ogni modo, prima di vincolarsi con una qualsiasi forma di vitalizio occorre valutare bene possibili benefici e pericoli ed disporre di una controparte contrattuale in cui si ripone ampia fiducia.
Avv. Marco Giudici
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